A Palazzo Blu a Pisa la grande mostra sui Macchiaioli Toscani permette di ripercorrere le tappe di questo movimento rivoluzionario.
Pisa, Palazzo Blu. Lo aspettavo da tempo questo pomeriggio di sabato 8 ottobre. Finalmente si è aperta la grande mostra sui Macchiaioli Toscani, un movimento artistico che amo particolarmente.
Ci sono tutti i più importanti artisti del gruppo: Fattori, Lega, Borrani, Signorini, Vito d’Ancona, Vincenzo Cabianca, Giovanni Boldini, Cristiano Banti e molti altri.
L’attesa non ha deluso le aspettative.
Sono oltre 130 i capolavori che si snodano nelle diverse sale, suddivise in 11 sezioni di mostra.
Capolavori che provengono in gran parte da collezioni private, ma anche da importanti istituzioni museali come Le Gallerie degli Uffizi, il Museo della Scienza e della Tecnica di Milano, la Galleria d’Arte Moderna di Genova e la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma.
La mostra ripercorre tutte le tappe di questo importante movimento artistico che, ancor prima dei cugini francesi, gli Impressionisti, ha cambiato il corso della storia dell’arte.
I Macchiaioli: storia di un movimento artistico
La prima cosa che colpisce appena entri in mostra è l’allestimento.
Nella prima sala una doppia tenda aperta, come si usava nelle case dell’epoca, ti invita ad entrare in questo mondo fuori dal tempo.
Così come la finta tappezzeria a righe rende accogliente la prima sala come si entrasse in un salotto ricco di capolavori.
Ed eccole, alle pareti, le immagini del gruppo toscano dei Macchiaioli, immagini sbiadite dal tempo ma proprio per questo ancora più belle.
Tutto inizia nel 1855 quando un gruppo di giovani artisti, progressisti in arte, decide di ribellarsi alle regole dell’Accademia di Belle Arti, considerate ormai vecchie e superate.
Molti di questi artisti, non tutti fiorentini, la sera, dopo le lezioni, si riuniscono all’interno del Caffè Michelangelo e, fra una battuta e l’altra, cercano soluzioni su come rinnovare la pittura.
Le soluzioni proposte sono molte, in primis raccontare i fatti della realtà a loro contemporanea, studiare dal vero gli effetti di luce ed ombra, quindi la resa della luce naturale e non artificiale, e una nuova tecnica pittorica, la Macchia, piccole taches di colore accostate fra di loro dove si vanno a perdere le definizioni dei particolari.
Quello che colpisce in questi dipinti è la luce: hanno una abbagliante, solare, come se un faro li illuminasse da dentro.
E’ la luce vera, la luce reale che essi studiano uscendo dalle aule dell’Accademia e, tavolozza, pennelli, cavalletti, taccuini per appunti sotto il braccio, si recano a dipingere a Castiglioncello, nei dintorni di Firenze, a San Marcello pistoiese … e oltre, prendendo appunti sulla realtà che li circonda e sulle reali condizioni di luce.
Lo notate subito, per esempio, nei contrasti di luce ed ombra che ora sono netti, non graduati dai tenui passaggi tonali come nelle opere di artisti dell’Accademia.
Troppo innovativi tanto che, nel 1862, un giornalista della Gazzetta del popolo, lì definì, con un intento chiaramente spregiativo, Macchiaioli.
I Macchiaioli e la pittura di storia
Inizia così, la mostra.
Proponendo opere dove gli artisti si confrontano ancora con temi di storia antica.
Perchè? Perchè ogni rivoluzione è graduale.
La pittura di storia è sempre stata uno dei capitoli più importanti dell’Accademia, dove i temi trattati erano tratti dalla storia antica.
Agli esordi i Macchiaioli si confrontano ancora con questi temi, come per esempio Saverio Altamura con i Funerali di Buondelmonte, in cui rievoca con una tecnica moderna (sbattimenti di luce, tecnica della macchia, tanto che il dipinto sembrò ai più un bozzetto), un episodio risalente alla storia fiorentina del Duecento.
Ancora Banti che rievoca il famoso episodio di Galileo Galilei davanti al tribunale dell’Inquisizione, per non parlare di Fattori con Maria Stuarda al campo di Crookstone: gli artisti si affannano ancora a trovare i costumi dell’epoca, li tengono nei loro atelier per ricreare la scena, ma la resa era rivoluzionaria: contro i canoni dell’Accademia si sperimentano nuove soluzioni cromatiche, uno stile conciso, privo di dettagli, e una nuova resa della luce e dell’ombra.
Fu proprio Nino Costa, presente in mostra con uno splendido dipinto, a convincere Fattori a lasciare questo genere per dedicarsi invece a soggetti più moderni.
La pittura di paesaggio
Il rinnovamento attuato dai Macchiaioli tocca tutti i generi pittorici.
Ora, poichè come già detto, questi artisti escono dalle aule dell’Accademia per andare a studiarsi la luce reale, la Scuola di Barbizon docet, è chiaro che il rinnovamento va a toccare anche la pittura di paesaggio.
Chiariamo subito una cosa. I Macchiaioli non dipingono, se non in qualche raro caso, tutto direttamente en plain air, come gli Impressionisti, ma si recano sul luogo (viaggiano moltissimo) con cavalletto, tavolozza, pennelli, prendono appunti incantandosi alla vista di un bianco contro l’azzurro del cielo, dei pagliai immersi nella luce solare della campagna, della linea dell’orizzonte, delle montagne che si stagliano contro il cielo azzurro e della grande distesa del mare.
Alla fine, dopo aver eseguito i diversi bozzetti, in atelier, si creava il dipinto.
Lo spiega bene Nino Costa riguardo la genesi del dipinto Donne che imbarcano legna al Porto di Anzio: ” La norma fondamentale per fare un quadro […] far prima, nel vero, un bozzetto di impressione il più rapidamente possibile; e poi fare, dal vero, studi sui particolari. Finalmente abbozzare il quadro, stando attaccato al concetto di bozzetto, non togliendo mai le pupille dal bozzetto …”
Ecco il nocciolo della questione: ci si allontana dalla perfezione accademica a favore di opere che sembrano bozzetti quando nella nuova concezione di questi artisti erano completamente finite.
I Macchiaioli e uno sguardo nuovo sulla realtà contemporanea
Uno sguardo nuovo sulla realtà contemporanea, questo il tema della terza sezione della mostra che si lega indissolubilmente a quella seguente, la quarta dove si indaga il rapporto fra i Macchiaioli e il Risorgimento.
Subito ci si trova di fronte a due capolavori mozzafiato di Odoardo Borrani, rispettivamente Cucitrici di camicie rosse e Il 26 aprile 1859 in Firenze
Splendidi nel rievocare il clima che si respira a Firenze, e non solo, durante la Seconda Guerra d’Indipendenza.
In tutte e due le opere spicca la combinazione dei colori nel dare luogo al tricolore italiano.
Spostando lo sguardo si incontra quello magnetico di Garibaldi di Silvestro Lega.
Contro un cielo nuvoloso si staglia, imponente, l’immagine di Garibaldi rappresentato con un volto velato di malinconia.
Da uno squarcio fra le nubi trapela una luce limpida che illumina il volto del generale, definendolo con una forza incisiva.
Nella sobrietà della gamma cromatica, spicca il rosso vivo della camicia che risalta con forza contro le tonalità plumbee del cielo.
Lega si sofferma sui dettagli, sui particolari, (già perchè Lega e Borrani, a mio avviso sono coloro che hanno, in certe fasi della loro vita, sintetizzato di meno l’immagine tramite la macchia) come le impunture bianche sulla stoffa, i bottoncini di madreperla, la catena d’oro.
Su tutto straordinario il foulard di seta di cui Lega ci rende la setosità palpabile della stoffa stessa.
I Macchiaioli e le guerre di Indipendenza. Si. molti di loro vi hanno partecipato direttamente come Signorini, oppure hanno studiato i luoghi delle battaglie come Fattori che si recava anche a studiare i soldati di Girolamo Buonaparte stanziati alle Cascine.
Torniamo a Signorini. La sua Artiglieria toscana a Montechiaro salutata dai francesi feriti a Solferino è uno splendido esempio di come viene rinnovata la pittura di storia.
Non più la storia antica, ma i fatti della storia contemporanea raccontati da chi li ha vissuti in prima persona.
In questo capolavoro, Signorini, ci rende il netto contrasto di luce e ombra delle ruote del carro che si stagliano sul terreno, riesce a farci percepire il tumulto dell’attimo con la folla assiepata che si insinua fino allo stretto vicolo delle case in fondo a destra.
D’altronde la meditazione sulla Macchia è presente anche in un capolavoro di Fattori, In vedetta con quello splendido muro bianco calcinato di sole dal quale fuoriescono tre soldati.
Nell’essenzialità della composizione, sembra quasi di respirare un’atmosfera metafisica, i dettagli si perdono a favore di una stesura mecchiata nel rendere i sassi sul terreno, i ciuffi d’erba che fuoriescono dal terreno, nonchè le deiezioni dei cavalli.
L’affermazione della Macchia
E si giunge così alla sesta sezione della mostra in cui si ha la piena affermazione della nuova tecnica pittorica.
Esemplare a questo proposito l’opera di Raffaello Sernesi, Tetti al sole.
Un’opera di estrema sintesi formale in cui i tetti delle case, insieme ai volumi cubici delle stesse, si stagliano contro il cielo azzurro.
E’ un’opera in cui le strutture compatte delle case si definiscono secondo un meditato rapporto di luci e ombre che disegnano severe geometrie sui muri delle stesse.
Nella trasparenza dell’aria, una nuvola si posa leggera su un camino. Un senso di quiete invade l’opera.
Nella stessa sezione potete ammirare fra le altre, Mietitura del grano nelle montagne di San Marcello di Borrani e Riunione di contadine di Cristiano Banti.
Emblematica delle ricerche di Borrani sulla luce, Mietitura del grano presenta una coppia di contadini intenti a caricare il grano sul carro pronto.
Una luce interna al quadro, proveniente dall’azzurro splendente del cielo solcato di nubi, illumina l’opera, definisce i contorni delle alture che si stagliano contro il cielo e gioca a definire le ombre della coppia di contadini che si stagliano sul terreno.
Un senso invece di placida quiete la trasmette Banti nel suo dipinto, Riunione di contadine.
Dopo una giornata di duro lavoro sui campi, le contadine si riuniscono fra i vicoli strette delle case.
Splendida la lama di luce, una luce ormai smorzata, del tramonto che sottolinea però con forza i profili delle donne intente a parlare.
Sono i valori semplici, quella realtà quotidiana di un passato lontano che i Macchiaioli ci fanno rivivere.
La Scuola di Castiglioncello
Figura chiave di questa sezione della mostra è il grande critico, nonchè amico, dei Macchiaioli Diego Martelli.
Quest’ultimo, alla morte del padre, ha ereditato una grande proprietà a Castiglioncello, ed è qui che invita gli amici Macchiaioli a soggiornare nella grande tenuta per portare avanti le loro ricerche sulla luce.
I capolavori nascono copiosi.
E nasce anche la Scuola di Castiglioncello: Fattori, Borrani, Abbati passano l’estate a ritrarre la tenuta di Diego, i famosi buoi bianchi aggiogati al carro rosso, i dintorni di Castiglioncello…
Orizzontale, stretto e allungato. Un formato scelto appositamente per rendere la vastità degli orizzonti che si aprono davanti ai loro occhi.
il nostro sguardo si perde fra pasture, buoi al carro e poi arrivano loro… Le macchiaiole di Fattori.
“Le boscaiole vennero fuori all’epoca della macchia per far guerra agli accademici e agli storici, in mezzo a dolori morali e a privazioni. Ebbi questo coraggio…”
Queste le parole del pittore. Ebbe coraggio. Il coraggio di cambiare il corso dell’arte.
E il dipinto gli valse la medaglia d’oro dalla Società promotrice del valore, pensate, di 150 lire.
Il coraggio. Il coraggio di abbattere le regole e le convenzioni dell’Accademia sta tutto nell’avere rappresentato su un quadro di grande formato, che di solito era riservato ai soggetti religiosi o mitologici, delle semplici contadine. Uno scandalo per l’epoca!
Una mostra, questa di Palazzo Blu, che indaga in profondità la vicenda artistica di questo straordinario gruppo.
Una sezione è dedicata anche a Cabianca e Signorini, esponendo opere realizzate in Liguria e in Alta Toscana, fino ad arrivare ad una delle sezioni più intime, liriche e belle dell’esposizione: la nona.
Piagentina, scenari fiorentini
Fra i diversi artisti della nona sezione spicca in assoluto Silvestro Lega, ma anche altre presenze sono importanti.
Ho già avuto modo di parlare di Lega nel mio blog, nell’articolo Una giornata con Silvestro Lega.
Osservare questi capolavori significa veramente far un salto nel passato.
Cecioni, con il suo Interno con figura, ci trasporta nell’intimità di una stanza in una casa dell’Ottocento, la figura assorta nei suoi pensieri venati di malinconia ci rapisce l’anima.
Borrani con L’analfabeta, racconta, senza alcuna vena polemica, uno spaccato sulla piaga dell’analfabetismo purtroppo ancora molto forte nella seconda metà dell’Ottocento.
Osservate la bellezza del dipinto.
La luce chiara, cristallina che entra dalla finestra, illumina i volti delle due donne. Una luce atemporale che blocca la scena.
Una luce che definisce i particolari: l’orecchino della padrona, la lucentezza dei mobili, la tovaglia sulla sedia.
La maestria del pennello di Borrani ci rende un’immagine, viva, realistica.
Questo stesso mondo incantato lo riviviamo con Silvestro Lega.
Il periodo di Piagentina è il momento dell’apice della carriera dell’artista quando, ospite della famiglia Batelli, crea scene di vita quotidiana straordinarie.
Si susseguono in mostra capolavori quali I Fidanzati, La visita, L’educazione al lavoro, la visita in villa opere venate da un profondo lirismo.
Il Gazzettino delle Arti del Disegno di Diego Martelli
E’ questo il titolo della decima sezione che ricorda la nascita, nel 1867, del periodico dei Machiaioli, fondato e diretto da Diego Martelli.
Tra i numerosi redattori spicca Telemaco Signorini, spirito critico e arguto del movimento.
Sfilano preziosi capolavori come le prime opere di Boldini, create nel momento di contatto con il gruppo quando, giovanissimo, dalla natia Ferrara si trasferisce a Firenze.
Boldini frequenta per un certo periodo il gruppo dei toscani legandosi in particolar modo con Banti, che diventerà non solo suo mecenate ma anche migliore amico.
L’artista in quegli anni ritrae molti componenti della famiglia Banti, fra cui la primogenita Alaide, (con la quale intreccerà una storia d’amore, ne parlo nel mio romanzo Un soffio di voile) presente in mostra con il bellissimo Ritratto di Alaide in abito bianco.
E proprio a Boldini si deve il rinnovamento del ritratto.
Non più la posa rigida accademica con lo sfondo neutro, ma il personaggio viene ritratto nel suo ambiente, a volte anche con le gambe accavallate, altro scandalo per i seguaci dell’accademia!
Verso il Novecento
L’ultima sezione della mostra è dedicata alle opere tarde degli artisti.
La Macchia si è gia conclusa da tempo, ma nonostante tutto segni visivi della stessa permangono ancora nei nostri artisti.
Fra i capolavori di quest’ultima sezione segnalo il Ritratto della figliastra di Fattori.
L’artista rappresenta Giulia, figlia della sua seconda moglie.
La figura è impostata su un solido impianto disegnativo, chiusa a piramide.
Belli i rapporti cromatici impostati sul bianco della veste, rialzato dal tocco di rosso del papavero disegnato sul ventaglio, e dal nero del nastrino intorno al collo.
Il taglio sotto il bacino e il decentramento della figura sono elementi innovativi nell’opera di Fattori che contribuirono all’apprezzamento da parte della critica del Novecento che ci vide anche un’affinità con alcune opere di Manet.
Conclusioni
Un’esposizione, quindi, che indaga sotto tutti gli aspetti la nascita e la portata innovativa di questo grande movimento artistico.
Il visitatore viene accompagnato passo, passo, nelle diverse fasi della nascita e della progressione della Macchia aiutato anche da un allestimento che esalta la bellezza e la luce intrinseca dei dipinti, ma che sa diventare anche intimista dove le opere lo richiedono.
I capolavori principali sono presenti quasi tutti, il numero delle opere esposte è notevole e questo è un altro punto di forza dell’esposizione.
La mostra è stata organizzata da Fondazione Palazzo Blu e MondoMostre, con il contributo di Fondazione Pisa.
E’ stata curata da Francesca Dini, storica dell’arte tra le più autorevoli esperte del movimento.
Consigliatissima la visita!
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