Il Cassone nel Rinascimento era una componente essenziale dell’arredamento delle stanze. Spesso era splendidamente decorato e, solitamente, era un regalo di nozze che lo sposo faceva alla futura sposa.
Oggi voglio parlarvi di un’altra opera straordinaria dipinta dallo Scheggia e conservata all’interno delle Gallerie dell’Accademia di Firenze.
Si tratta del Cassone Adimari, dipinto nel 1450 dallo Scheggia probabilmente su commissione dell’antica e nobile famiglia fiorentina degli Adimari.
Vi dico subito che il nome di cassone è improprio. Numerosi studi hanno infatti accertato che si tratta di una spalliera per letto e non di un fronte di cassone come si è sempre pensato.
Il collegamento con la famiglia Adimari è dato dall’ambientazione della scena dipinta, ambientata lungo un tratto di via dè Calzaiuoli che un tempo era il Corso Adimari per la presenza delle case dell’omonima famiglia.
Il cassone rappresenta una scena nuziale o, più propriamente, una scena di danza nell’ambito dei festeggiamenti delle nozze fra due membri delle famiglie Adimari-Martelli, avvenuto nel 1450 a Firenze.
Il Cassone Adimari
Il Cassone, si è detto, rappresenta una cerimonia nuziale, ma allora gli sposi dove sono? Non si vedono!
Analizziamo l’opera. Come accennato, la scena si svolge all’imbocco dell’attuale via dei Calzaiuoli, un tempo Corso Adimari, chiamato così perchè in quel tratto di strada c’erano le case di proprietà degli Adimari.
Sulla sinistra vediamo la loggia del Bigallo con dei servitori che stanno portando dentro delle vivande, dall’altra parte dei musici stanno suonando, tranne uno, i loro strumenti che non sono trombe, ma ciaramelle; l’altro è uno strumento di transizione fra una tromba a linea e un trombone. Gli ultimi due presentano il giglio del comune di Firenze. Osservate come, secondo le proporzioni gerarchiche medievali, gli inservienti sono dipinti in dimensioni minori, rispetto ai nobili che partecipano alla scena.
Sullo sfondo notiamo il battistero di S. Giovanni coperto da drappi quindi, al centro, probabilmente la porta di Balla (porta importante in quanto vi transitavano le balle di lana che andavano a rifornire i fiorentini), quasi di fronte alla porta un pozzo, e il loggiato che oggi non esiste più di S. Maria del Fiore.
In primo piano i nostri occhi sono catturati dal lungo tendone a strisce bianco e rosso, i colori della città. Il tendone è legato alla loggia e ad una casa. Sotto di esso si snoda il corteo, mentre in secondo piano osserviamo una scena di danza. Sullo sfondo, oltre le mura, si intravvede il contado fiorentino.
Pensate che a questa festa parteciparono 400 invitati che, su una popolazione di circa 50.000 abitanti per l’epoca, sono un buon numero!
E gli sposi? Probabilmente sono semplicemente dentro a… banchettare!
Lo stile del Cassone Adimari
Come sua consuetudine Lo Scheggia ci racconta la realtà del suo tempo, rappresentando con grande dovizia di particolari le usanze, l’abbigliamento, gli edifici della Firenze di metà Quattrocento. A volte, come in questo caso, il suo è un mondo ancora fiabesco che risente dell’ influenza del gotico cortese. Osservate con quale eleganza passeggiano le coppie sotto il tendone, il leggiadro movimento circolare delle coppie intente a danzare. Sembra di sentire la musica che stanno suonando i musici, udiamo il fruscìo degli abiti, sontuosi, che l’artista rappresenta con una cromia vivace e brillante.
Le dame elegantemente abbigliate, con i loro lussuosi copricapi, i gentiluomini che, a destra, rappresentano la borghesia fiorentina, vestono di rosso.
Osservando le diverse scene, ci sembra di essere avvolti da quella magica atmosfera che ti invita a partecipare alla danza o al corteo. E’ la Firenze dell’epoca, la Firenze contemporanea all’artista che ancora una volta lo Scheggia ci lascia contemplare.
Ecco l’importanza di analizzare anche queste opere, questi componenti dell’arredo dell’epoca, che ci parlano dei tempi che furono e che ci invitano ad immergersi in questo mondo da sogno, viaggiando nel tempo.
La famiglia Adimari
La famiglia Adimari era una nobile e antica famiglia fiorentina “di primo cerchio”, nominata anche da Dante nel XVI canto del Paradiso.
I suoi componenti erano tra i capi della fazione guelfa e, quindi, odiati dai ghibellini.
Gli Adimari vengono cacciati dalla città una prima volta nel 1248, e poi di nuovo in seguito alla battaglia di Montaperti.
Rientrati in città, negli anni fra il 1266 e il 1280 risplendono della loro potenza che raggiungerà il culmine nel 1278 quando tredici dei loro componenti sono presenti nel consiglio.
Ma gli anni stavano cambiando e nel 1293 con la proclamazione degli Ordinamenti di Giustizia di Giano della Bella, vengono dichiarati Magnati insieme a altre settanta famiglie fiorentine, e per questo esclusi dal governo della città.
La famiglia si estingue nel 1736.
Il matrimonio a Firenze nel Rinascimento
Visto che abbiamo parlato di corteo nuziale, di banchetto, di cerimonia, voglio raccontarvi, in breve, come si svolgeva un matrimonio a Firenze nel Rinascimento.
Spesso il matrimonio veniva combinato dal sensale, un intermediario, che comunica i nomi dei fidanzati al funzionario pubblico. Il matrimonio, però, non poteva essere celebrato se la donna non portava una dote trascritta sul Grande Libro del Monte delle doti, creato a Firenze nel XV secolo e che era una specie di “Cassa di risparmio” gestita dal comune, in cui i parenti versano depositi destinati a garantire alle loro figlie un certo capitale nel momento matrimonio.
Avveniva, quindi, la consegna dell’anello, simbolo del fidanzamento, che era festeggiata con un pranzo o con una cena.
Arrivato il sospirato giorno delle nozze, i giovani stendono nella strada un nastro o una ghirlanda di fiori; il più bello fra loro, rivolge un complimento alla sposa, le offre un mazzo di fiori e riceve un regalo, dopo di che lo sposo rompe il nastro.
Il corteo si dirige verso la loggia del Bigallo, dove suonano le trombe adornate con il giglio di Firenze, e la sposa, portando un velo benedetto, simbolo di castità, si avvia verso l’altare.
Può lasciare la casa dei genitori a cavallo, accompagnata da massimo dieci donne ma, a matrimonio avvenuto, dovrà tornarci a piedi con due donne o due uomini. Sapete una cosa? Il matrimonio non viene consumato in quella notte! Questo per rispetto al sacramento appena celebrato.
Segue il banchetto che, a seconda della classe sociale, era più o meno elaborato, e con portate diverse. Al banchetto di un fiorentino borghese sedevano venticinque donne, e non più di dieci uomini con otto servitori. Le portate sono tre con venticinque taglieri (piatti) per ogni portata. Se veniva offerto il vitello, non si mangiava altra carne. Per la cena erano presenti due portate.
Le cose andavano diversamente per i grandi personaggi. Pensate che alle nozze di Lorenzo il Magnifico con Clarice Orsini .. si spesero migliaia di ducati!
Vennero fatti arrivare 150 vitelli e 4000 capponi, botti di vino dall’Italia e vini stranieri; nella loggia e nei giardini del palazzo di via Larga, dove Clarice arrivò a cavallo, si tennero cinque banchetti in tre giorni. Cinquanta dame, giovani danzatrici, siedono alla tavola della sposa; le signore più mature siedono alla tavola presieduta da Lucrezia Tornabuoni, la madre di Lorenzo. Altre tavole erano occupate da giovani danzatori e da uomini adulti.
Lascio a voi immaginare lo sfarzo, la ricchezza delle decorazioni, delle stoffe preziose utilizzate per le tovaglie e, ovviamente, per gli abiti. Le finestre del palazzo di via Larga addobbate con ramoscelli d’olivo, simbolo di allegria e di un evento fausto.
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