Il desco da parto è il vassoio in legno con cui veniva portato il primo pasto alla puerpera. Decorato da grandi pittori, diventa un pezzo d’arredamento importante all’interno della casa.
Il desco da parto: una tradizione fiorentina
Nelle nobili famiglie fiorentine, verso la metà del Trecento, iniziò la diffusione del desco da parto, un vassoio circolare con cui veniva portato il primo ristoro alla puerpera dopo il parto.
Questi vassoi, più o meno grandi, iniziano ad essere decorati dalla prima metà del Quattrocento con scene mitologiche, oppure riguardanti la nascita, l’infanzia o la fertilità.
Il Ghirlandaio nell’affresco che rappresenta la Nascita di Giovanni Battista nella Cappella Tornabuoni in Santa Maria Novella, ci lascia una splendida testimonianza di questa usanza.
All’interno di una stanza riccamente decorata, Elisabetta siede sul letto e osserva con amore il neonato fra le braccia di una balia intenta ad allattarlo.
Un’altra balia, allunga le braccia per prendere il piccolo e lavarlo. Tre donne elegantemente vestite osservano la scena. All’estrema destra, da una porta, entra un’ancella che porta sulla testa un desco da parto colmo di frutta.
L’artista riesce a trasferisci tutta la gioia che si respirava in una casa fiorentina al momento del lieto evento, quest’ultimo accompagnato spesso da grandi festeggiamenti.
Una commissione prestigiosa per lo Scheggia
Nel 1449 Piero de’ Medici, per festeggiare la nascita del primo figlio, Lorenzo, il futuro Lorenzo il Magnifico, commissionò allo Scheggia la decorazione di un desco da parto.
La parte anteriore rappresenta il Trionfo della Fama, la cui iconografia si ispira ai Trionfi di Francesco Petrarca e all’Amorosa visione di Boccaccio.
La Fama è rappresentata come una fanciulla con un candido vestito, il capo circondato da un’aureola poligonale, e grandi ali aperte che recano i tre colori delle insegne dei Medici (oro, rosso e blu). Da una parte tiene in mano una spada, dall’altra un cupido dorato.
Davanti ad essa, cavalieri con armature dai colori sgargianti, le rendono omaggio e alcuni alzano la mano giurando fedeltà.
Splendido il paesaggio che degrada in profondità, con un cielo striato di nuvole che ne accompagna la visione prospettica.
L’eleganza dei dettagli decorativi delle vesti e delle armature, risente ancora di un’influenza tardo-gotica, di gusto squisitamente cortese, mentre la complessità spaziale, con i cavalli in scorcio, ma con una certa fissità nelle pose, rimandano all’influenza di Paolo Uccello.
Il retro rappresenta, purtroppo molto rovinati, gli stemmi dei Tornabuoni e dei Medici.
Il desco da parto di palazzo Davanzati
All’interno dello splendido Museo di Palazzo Davanzati si conserva un altro desco da parto creato dallo Scheggia
Lo Scheggia, Gioco del Civettino, metà del XV secolo.
Firenze, Palazzo Davanzati, parte anteriore.
In questo stupendo esemplare di desco il pittore rappresenta il Gioco del Civettino, un gioco bizzarro (e anche violento) che vedeva contrapposti due contendenti che, bloccando con il proprio piede quello dell’avversario, si scambiavano schiaffi.
Con il tono narrativo proprio dell’artista, siamo calati nella realtà quotidiana della Firenze del Quattrocento: tre ragazzi, posti al centro della scena sono intenti al gioco.
Quello di mezzo, quando tocca con le mani per terra, non può essere toccato però, quando si alza, e quando si abbassa colpisce ora l’uno, ora l’altro dei compagni. Questi, nel frattempo, cercano di fargli cadere per terra il berretto: quando questo cade, finisce il gioco.
Sullo sfondo, al centro, una porta della città, mentre ai lati gli edifici fungono da quinta architettonica. Tutti sono rappresentati con gli abiti sfarzosi ed eleganti usati dai nobili dell’epoca, tanto che questo splendido desco ci lascia una testimonianza di uno spaccato della vita quotidiana dell’epoca.
Il retro rappresenta due floridi putti intenti a giocare prendendosi i genitali, evidente allusione alla fertilità. Nei due alberi rappresentati ai lati sono posti gli scudi con le armi delle nobili famiglie di cui si riconosce solo quella dei Corbinelli, i committenti dell’opera.
I colori dell’opera sono sgargianti e raffinati, i dettagli sono minuziosamente descritti.
I deschi da parto nella camera nuziale
Le prime attestazioni riguardanti i deschi da parto risalgono al 1383 e, spesso, sono correlati all’incremento delle nascite che solitamente seguiva i periodi di peste.
In quegli anni si rivolgevano molte attenzioni ai neonati e alle puerpere e, come dicevamo, la nascita di un figlio era sempre accompagnata da grandi festeggiamenti.
Inizialmente i deschi da parto erano molto semplici, probabilmente non presentavano neanche decorazioni, che si aggiunsero in un secondo momento.
Questi ebbero una diffusione sempre più ampia e, spesso, diventavano delle vere e proprie opere d’arte che si conservavano in casa ed andavano ad arricchire l’arredamento della camera nuziale.
Quando due giovani rampolli della Firenze dell’epoca si sposavano, la famiglia del giovane regalava loro il letto nuziale, delle cassepanche e il rivestimento ligneo delle pareti della stanza considerata la più intima e sacra della casa.
Ovviamente lo sfarzo dell’epoca prevedeva che questi oggetti fossero riccamente decorati con intagli, tarsie lignee dorature o pitture.
Le immagini si trovano principalmente sul coperchio e sulla fronte dei cassoni nuziali destinati a custodire la biancheria della signora.
Chi poteva permetterselo, faceva dipingere anche le testate del letto e una serie di pannelli in formato orizzontale che venivano poi incastrati nella boiserie che serviva per isolare il calore della stanza.
Tanto i cassoni che le spalliere erano dipinti con scene tratte dagli autori classici e dalla letteratura toscana del Trecento, Petrarca e Boccaccio per primi, e raccontavano vicende esemplari di virtù coniugali.
A questo sfarzoso arredamento si unirono, come abbiamo visto, i deschi da parto.
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